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L’arte intermediale di Antonio Poce

Intervista di Giuseppe Bellavia  per la rivista “Italiani”, 2017

 

Qual è stato il ruolo della memoria nella storia dell’umanità e quale nella composizione artistica?

 

E’ una domanda enorme, per rispondere alla quale non basterebbe una vita intera. Mi limito ad alcune osservazioni che lascio come guida per eventuali approfondimenti.

Posso intanto dire che nessun discorso sui processi creativi può prescindere da una ricognizione approfondita sulla memoria e le sue istituzioni. Sappiamo che l’abilità umana nel leggere e nel produrre opere d’arte è conseguente alla facoltà di ricordare. Gli antichi lo avevano già compreso in maniera inequivocabile. Le Muse, che rappresentavano appunto le diverse arti, erano tutte figlie di Mnemosine, cioè di Memoria. Il mito ci fornisce quindi l’immagine più chiara per definire, insieme all’origine stessa dell’Arte, anche la centralità di quel complesso di funzioni della mente umana che chiamiamo "memoria".

Sarebbe molto interessante vedere come molti artisti si siano serviti di questa facoltà per elaborare il loro  pensiero. Come sarebbe assai interessante richiamare almeno le tappe essenziali della storia della scrittura, intesa come estensione della memoria, quindi struttura essenziale per la progettazione di qualunque opera complessa. 

Insieme al mio collega Valerio Murat stiamo ultimando un libro sulla Composizione nel quale affrontiamo questi argomenti, con molti esempi presi volutamente da discipline artistiche diverse. Uscirà nei prossimi mesi. Spero che risulti utile a tutti coloro che hanno interesse a comprendere e a praticare con maggiore coscienza ogni genere di sintesi creativa.

 

“Ascoltare è immaginare” era il titolo della sua Mostra di opere intermediali del 2015. Sarebbe corretto definire “astratta” un’arte che dall’udito arriva sino all’immaginazione?

 

Ascoltare significa percepire immagini. Esse sono numero - parola - suono. S. Agostino ne aveva già intuito l’intima struttura numerica, riconducendo suono e immagini ad una origine comune e indicando, in prospettiva, la possibilità di un trattamento analogo.

Le immagini sono parte del fenomeno audiovisivo. Il nostro sistema percettivo è multicanale. Ogni senso vorrebbe coinvolgere tutti gli altri (e perfino l’intero corpo) in una percezione totale che decifriamo come desiderio di complessità.

La musica dal canto suo detiene una sorta di primato fra le arti visive (è anch’essa è un’arte “visiva”). Essa è per sua natura sfuggente, abitando nell’urgenza del tempo. Perciò le capacità dei compositori sono mediamente più affinate rispetto a quelle di artisti impegnati in altre discipline.

 

Ogni compositore, sia pure inconsapevolmente, aspira ad una visione totale. Tutta la mia ricerca è quindi orientata all’esercizio della visione molteplice. In ogni mia partitura, la musica, la poesia, le immagini, il testo poetico, sono integrati nel medesimo processo creativo. E’ una sorta di ritorno alla lingua originaria, quella che tutto comprende e che gli antichi Egizi chiamavano “lingua di Dio”.

Non condivido la contrapposizione Astratto/Concreto. Come rifiuto la contrapposizione Nuovo/Antico. Sono superfetazioni della deriva dialettica che ha sommerso tragicamente l’intero ‘900. Potrei dire che la mia è un’arte astratta in quanto basata sulla poetica del corpo; e nello stesso tempo affermare che è un’arte concreta in quanto basata sulla visione molteplice e la sintesi poetica. 

Per molti anni abbiamo avuto le barricate fra astrattismo e figurativismo, come due ideologie, due verità rivelate. Ciò non ha prodotto alcun progresso in fatto di competenza estetica.

 

Noi viviamo nel nostro corpo, il quale ospita la la nostra mente che immagina. E' un luogo in cui l'esterno si fa interno, dove le emozioni decifrano il mondo sublimandolo in parola e linguaggio. Si tratta perciò di una attività  che non può essere riconducibile ad una catalogazione rigida e del tutto esteriore, la quale tranquillizza certamente archivisti e collezionisti, ma aggiunge ben poco alla comprensione del processo creativo.

 

Posso dire, con buone ragioni, che tutta l’Arte è astratta. Ma potrei dire, con altrettante ragioni, che tutta l’Arte è concreta. La verità è che dovremmo rifuggire dalle facili semplificazioni e adeguare il nostro linguaggio alle profondità della psiche. “Siamo fatti della stessa sostanza dei sogni”, su questo non ho dubbi. Perciò dico che noi siamo la nostra memoria, e che attraverso di essa l’interiorità di ogni artista diviene segno e scrittura.

Non è molto, lo so. Ma almeno siamo nella direzione giusta.

 

In questo processo simbiotico fra varie discipline artistiche, qual è il rapporto fra le differenti arti che consente di farle convivere in un unicum organico?

 

Ho adottato da molti anni una strategia compositiva capace di controllare contestualmente tutti i materiali (di qualsiasi origine sensoriale) ed integrarli in un solo processo creativo. I miei lavori intermediali si muovono in questo territorio di libertà. Che non è libertinaggio, sia chiaro. Si tratta infatti di un processo che vive di controlli severissimi, derivati in buona parte dalle tecniche per la composizione musicale.

Considero l’atto creativo un’esperienza globale, che impegna tutti i sensi. Mi concentro però sul suono, e attraverso di esso pratico una visione prospettica che ingloba tutte le altre percezioni. Nell’udito sono compresenti tutti gli altri sensi, dando luogo ad influenze ed interferenze reciproche. Da qui prende le mosse una concezione della realtà intesa come continua metamorfosi che ha importanti precedenti sia in campo pittorico che letterario. Tutto il processo creativo viene quindi fissato in una progettazione scritta che garantisce un controllo totale della forma e la piena consapevolezza di ogni istante della composizione.

Quando ciò avviene secondo i canoni stabiliti, e con l’attenzione rivolta all’affinamento delle qualità,  si può cogliere allora la vertigine della visione molteplice.

 

Tra i molti vantaggi di questa metodologia di lavoro, vi è appunto il superamento di ogni artificiosa contrapposizione fra reale e immaginario. E’ per questo che le mie opere possono anche essere qualificate “astratte”. Ma non certo in quanto presuppongano un rifiuto del reale, quanto invece per il fatto che esse sono il prodotto dalla mia interiorità, distillate in un arco creativo fissato in un progetto. E’ soltanto questo che le qualifica come astratte. Ma, in questo senso, tutte le opere della storia dell’Arte dovrebbero essere considerate tali.

 

In coppia con il termine 'Arte' figura il concetto di 'intermedialità': in cosa differisce dalla “multimedialità”?

 

Ho parlato di Arte Intermediale riferendomi a nuove scritture che trattano contestual-mente figure musicali, testi poetici e immagini in movimento, nella convinzione che tali opere rispondano coerentemente alle conoscenze oggi maggiormente diffuse che caratterizzano i linguaggi dell’arte contemporanea.

La cosiddetta “multimedialità”, invece, è una somma di scritture diverse, ciascuna delle quali è al servizio dell’altra. Una convivenza che ha dato luogo a oltre cento anni di Cinema, con gli innumerevoli capolavori che conosciamo. Nonostante ciò non sono pochi oggi i registi che considerano la prevalenza della sceneggiatura nel film un modello strutturale da superare.

 

La mia produzione è rivolta da molti anni alla scrittura intermediale. Lavoro solitamente con altri colleghi con i quali ho fondato, circa quindi anni fa, il gruppo Hermes Intermedia (con Giovanni Fontana, Giampiero Geminie Valerio Murat). Con loro ho partecipato a molti Festival di videoarte, rimanendo convinto della gran confusione teorica nella quale si dibatte gran parte di questa produzione. In un’epoca dominata dalla  molteplicità non ritengo più accettabile la vuota riproposizione di semplici ’’incontri” tra le arti. E’ l’inutile riaffermazione di un vecchio schema che vede le arti inquadrate in uno sterile parallelismo dove l’una è, ancora e soltanto, ’a commento’ dell’altra.

 

L’intermedialità è altro. E’ sintesi di processi creativi diversi e crogiuolo di nuove scritture. E’ forza generatrice di nuove capacità percettive, fondatrice di nuovi linguaggi e nuovi mondi. Pratico l’Intermedialità come esplosione del molteplice, assumendo la parola, l’immagine animata, il suono, la musica, la danza, come carni dello stesso corpo, pensieri della stessa anima.

 

Ogni opera cela in sé un messaggio che intende trasmettere al fruitore. Qual è il messaggio ultimo che si prefigge di divulgare attraverso la sua arte?

 

Penso ad una felice coesistenza delle diversità, alla conseguente eliminazione di ogni schema di conflitto e alla progressiva integrazione fra le arti. Tutto questo ci proietta in una dimensione più coerente con la sensibilità contemporanea, dove l’invenzione non è più ostaggio delle differenze.

Penso ad un sapere non più diviso, certamente più attento alle vorticose trasformazioni del mondo che viviamo. Un mondo in cui codici e linguaggi ci appaiono sempre più integrati in visioni simultanee. Un mondo in cui i territori diversi dell’arte possono pacificarsi in un solo processo creative.

Penso ad una sana diffusione delle nuove tecnologie, capaci di favorire l’evoluzione di schemi di pensiero integrativi e, di conseguenza, il rigetto di ogni ideologia antagonista. Penso alla definitiva affermazione della comunicazione “audiovisiva” (non audio-visiva), che esige forme di pensiero in cui ogni aspetto della percezione risulti coinvolto.

 

Ma vorrei concludere con una ipotesi che ritengo molto fondata. L’integrazione fra tutte le arti e una convivenza priva di conflitti sono certamente un punto di arrivo, ma potremmo considerarlo anche un ritorno. Un ritorno a casa. A Lascaux, a Chauvet, ad Altamira, cioè presso quelle abitazioni che sembrano rappresentare proprio quell’ideale al quale ho fatto riferimento.

Quelle “caverne” che circa 20.000 anni fa  erano abitate da uomini che avevano già inventato la caccia. Uomini che dipingevano le pareti con raffigurazioni che ci sconvolgono per la padronanza del segno, la plasticità delle forme e l’assenza di ogni rigidità geometrica.


Ma ancor più si rimane colpiti da una rappresentazione che sembra aver assimilato i concetti di multivisione, di montaggio, e di una concezione non lineare dello spazio e del tempo. La sovrapposizione delle figure, talvolta trasparenti, o di grandezza inversamente proporzionale alla distanza, rimandano ad una prospettiva psicologica, tale da richiamare il celebre aforisma di Picasso: «Non dipingo quello che vedo, ma quello che penso».

Di fronte ad uno scenario così ricco, soltanto una mente dissestata o persa può qualificare quegli uomini come “primitivi”. Essi erano cacciatori-artisti. Oltre alla pittura e alla scrittura avevano anche strumenti a percussione e a fiato, un fuoco acceso e la parola per la narrazione. Producevano quindi lavori "audiovisivi", immagini della loro interiorità. Erano naturalmente intermediali, perché integrando tutte le loro abilità essi riuscivano a fare ciò che ogni artista desidera: rappresentare l’invisibile.

Quella caverna non era soltanto “casa”, ma anche teatro, sala a da concerto, chiesa…., come non è mai più avvenuto nella successive era delle civiltà.

E allora, che dire….

S'è fatto tardi. E’ ora di tornare a casa.

Hermes Intermedia: La scrittura intermediale, dalla Flash Opera alla produzione audiovisiva

Intervista di Salvatore Corallo

 

 Mi preme sottolineare un aspetto fondamentale del vostro collettivo: la natura essenzialmente musicale delle produzioni audiovisive. Più che di videoarte forse sarebbe più opportuno riferirsi all’ambito delle Composizioni musicali? Le musiche realizzate per i vostri lavori si possono accostare alla musica elettroacustica, elettronica o ne travalicano i confini? 

Ogni definizione comporta il rischio che qualche aspetto del nostro lavoro possa rimanere in ombra o escluso. Allora cominciamo col dire che la musica è un'arte visiva, e che la natura sottile e sfuggente del suono affina tutte le qualità percettive intese nella loro globalità. 
E' proprio la centralità della musica quindi che impone una considerazione essenziale intorno al sistema delle percezioni. Si tratta di un sistema multicanale che è predisposto ‘naturalmente’ all’integrazione. La pluralità stessa del suo assetto tende a coinvolgere, sempre e intimamente, tutti i sensi (anzi, l’intero corpo) in una illuminazione totale che normalmente avvertiamo come desiderio di complessità.  Tutto ciò ha arricchito il nostro patrimonio cognitivo, ma soprattutto è stato decisivo nel determinare la nostra definitiva scelta  intermediale.
Va da sé che la musica che si ascolta nelle nostre composizioni audiovisive è essa stessa il risultato di una visione integrativa. Non ha vincoli di linguaggio o di produzione del suono, usa l'elettronica esclusivamente come un mezzo e rifugge da qualsiasi costrizione descrittiva o schedatura classificatoria. 
Aggiungo un dato storico che può essere utile per comprendere meglio la funzione della musica nello sviluppo delle arti audiovisive parallelamente all’enorme espansione delle tecnologie elettroniche: artisti come Nam Jun Paik, Robert Cahen e Steina Vasulka, riconosciuti come padri della videoarte, avevano in comune una solida competenza compositiva musicale.

 Le vostre personali e specifiche competenze (musicali, vocali, poetiche, grafiche, performative, visuali) riescono a mettere insieme diverse arti, discipline e materiali per farli confluire e integrarli in un unico progetto creativo. Come avviene il processo di scrittura intermediale?  Potremmo definire la Vostra una narrazione di tipo non-lineare? Cosa si intende per modularità dell’opera?

Possiamo certamente parlare di composizione non-lineare, e aggiungerei subito che non ci trovo nulla di particolarmente originale. La non-linearità corrisponde ad un modo ‘naturale’ di rappresentare gli eventi. La struttura narrativa dell’Odissea è non-lineare, ma potremmo andare ancora più indietro, fino alle immagini della caverna di Lascaux. 
Per trovare invece aspetti che ci riguardano più direttamente, possiamo invece andare più avanti: a Ludwig van Beethoven, il quale arriva a montare frammenti d’orchestra tagliando ogni collegamento di tipo dialogico e giuntando le parti come se fossero spezzoni di pellicola. Forse non ci siamo ancora resi ben conto di quale salto egli abbia realizzato nel modo di rappresentare la compresenza di immagini che appartengono al presente e al passato. 
Il montaggio dei film di Sergej Ėjzenštejn, con l’organicità di tutte le sue parti, credo debba molto alla musica di Beethoven con il probabile tramite del suo stretto collaboratore Sergei Prokofiev. Egli ha fatto esattamente quello che doveva, cioè sviluppare le potenzialità del montaggio non-lineare adattandolo al mezzo, cioè alla pellicola, alla macchina da presa e alla proiezione cinematografica.
Per ciò che riguarda la scrittura intermediale posso dire, in estrema sintesi, che si tratta di una strategia compositiva capace di controllare contestualmente tutti i materiali (di qualsiasi provenienza sensoriale e artistica) e di integrarli in un solo processo creativo. E’ essenziale evidenziare che il percorso di tale processo non è orizzontale ma verticale. Spiego meglio: il passaggio dall’idea generale di un’opera alla stesura definitiva avviene per fasi successive, rappresentate da livelli di scrittura proiettati verticalmente in forma sempre più particolareggiata. L’ultimo di questi, il più esteso, non è altro che la scrittura sintetica e dettagliatissima dell'opera,  facilmente trascrivibile in notazione tradizionale. E’ una tecnica evidentemente sviluppata per la musica (è il caso di ricordare che tre dei quattro componenti del gruppo Hermes Intermedia sono docenti di Composizione e di Musica Elettronica presso i Conservatori di Frosinone e di Santa Cecilia), ma è ugualmente efficace per qualsiasi genere di composizione, compresa ovviamente quella intermediale. 
Credo sia opportuna una citazione: «Chi non sa vedere l’insieme, rimane sconvolto dalla singola parte, perché non capisce a cosa si riferisca e a cosa serva». Questo è Agostino, uno che aveva ben chiara l’idea di tempo e aveva esplorato, da par suo, i meccanismi della memoria.
Aggiungo che la scrittura intermediale, a mio avviso, ha impresso una mutazione profonda nei canoni generativi tradizionali, riconiugando codici e linguaggi e dando perciò origine a nuove sintassi e schemi compositivi.

 La vostra collaborazione nasce con la realizzazione di diverse Flash Opere messe in scena principalmente nell’ambito dell’EuropaFestival di Ferentino. Per chi non avesse avuto modo di assistere dal vivo o visionarne il repertorio in VHS risulterebbe complicato cogliere gli aspetti innovativi di quella esplorazione estetica basata sull’abolizione di ogni barriera fra le arti. Considerando la singolarità di ogni sperimentazione integrativa, quali sono per Lei le caratteristiche principali da evidenziare e a quale Flash Opera è legato particolarmente?

Il termine Flash Opera è stato coniato per lavori di teatro musicale molto brevi. L'ambiente che le ha prodotte è stato quello di Europa Festival di Ferentino, del quale sono stato ideatore e direttore artistico per otto anni.
Avevo diversi obiettivi da raggiungere, quasi tutti proibitivi, ma uno lo era più di tutti: dimostrare che la musica contemporanea potesse essere accolta favorevolmente anche da un pubblico eterogeneo, diciamo anche 'popolare', nella piazza di una piccola città di provincia. Difficile da credere, ma la sfida fu vinta, per una serie di ragioni che provo a riassumere. 
L'idea mi fu suggerita dal tema di Europa Festival'95, che aveva come tema la "Rapidità". Devo precisare che il Festival aveva anche un forte richiamo progettuale, essendo articolato in un ciclo di sei anni, avendo assunto come temi quelli delle sei Lezioni Americane di Italo Calvino. La programmazione annuale mostrava sempre una spiccata originalità, poiché ogni spettacolo era espressamente commissionato per il Festival.
La Flash Opera aveva una durata di circa dieci-quindici minuti. L’organico era costituito dai quattro ai dieci strumenti, ed in scena vi erano normalmente due Cantanti con altrettanti Attori. Nel corso della serata ne venivano rappresentate tre.
Alcune di queste avevano carattere comico, con il chiaro intento di richiamare la gloriosa tradizione dell'opera buffa, ingiustamente e inspiegabilmente dimenticata.
La regia, la scenografia, la musica, i testi, commissionati ad artisti riuniti di volta in volta in collaborazioni che mi apparivano reciprocamente stimolanti.  Scelte quasi sempre felici, che oltre al gradimento del pubblico ebbero il merito di creare le premesse per la teorizzazione e la pratica della scrittura intermediale. 
Approfittavo spudoratamente della disponibilità di amici artisti bravissimi,  spesso già impegnati in altri spettacoli in programma, in un complice e  straordinario fervore creativo rimasto indimenticabile per tutti.
Il gruppo Hermes Intermedia nacque proprio in questo clima di collaborazione e, soprattutto, di scambio culturale profondo.
Circa le mie Flash Opere, gli elementi di preferenza sono stati talmente tanti e vari da non poter essere castigati in una graduatoria.

 Molte vostre produzioni audiovisive necessitano di sistemi audio innovativi come ad esempio il ‘Dolby Atmos’ che supporta fino a 128 oggetti sonori diversi distribuibili in un massimo di 64 altoparlanti generando una percezione audio tridimensionale. Quanto influisce la mancanza di spazi/strutture che adottino sistemi tecnologici necessari per l’intellegibilità delle vostre Opere?

Sarei tentato di dire che è un falso problema. Sicuramente oggi abbiamo grandi limiti per una diffusione ottimale  dei nostri lavori. Ma la tecnologia in questo campo sta facendo progressi incredibili. Ricordo che Stockhausen per i suoi concerti si spostava con tir carichi di attrezzature per l’amplificazione e la diffusione, mentre oggi una mia amica che ha problemi di udito ottiene un ascolto eccellente governando con il cellulare le sue micro capsule collocate nelle orecchie, avendo inoltre la possibilità di selezionare, a seconda delle circostanze, l’ambientazione sonora più appropriata.
Voglio dire che la nostra attenzione oggi è più rivolta a temi riguardanti più strettamente la composizione, in particolare alla gestione della complessità intesa come l'aspetto più caratterizzante della scrittura intermediale.

 Il trattamento dello strumento voce è uno degli aspetti prioritari delle vostre Opere e spesso è il punto di partenza dalla quale si sviluppa l’intera prassi compositiva. Che ruolo assume all’interno della narrazione audiovisiva e come viene trattata la traccia vocale in termini di spazializzazione sonora? 

Non è detto che la voce sia il punto di partenza. Ecco, uno degli aspetti più interessanti della scrittura intermediale è proprio questo: ogni materiale, di qualunque provenienza disciplinare, può costituire un punto di partenza. 
La voce rappresenta comunque, storicamente e naturalmente, un elemento centrale della nostra attività compositiva. E lo è in tutti i suoi aspetti: quello sonoro, quello musicale e quello poetico nella sua proposizione di testi. Il suo trattamento acustico, da un punto di vista strettamente tecnico, non differisce da quello riservato a tutti gli altri strumenti. E' ovvio però che la sua particolarissima funzione la rende oggetto di un trattamento adeguato sotto ogni aspetto. 

In molte produzioni audiovisive intermediali utilizzate strumenti reali (pianoforte, archi, ottoni, clarinetto, celesta aumentata). Che tipo di rapporto si instaura tra la strumentazione ‘classica’ e quella elettronica/informatica? Esiste un processo di post-produzione musicale anche per gli strumenti classici?

La composizione intermediale ha come premessa la “riappacificazione delle arti”, come la chiamava Leonardo. Qualunque genere di conflitto quindi è opportunamente evitato. La divisione (o peggio: l’antagonismo) fra strumenti classici ed elettronici non ha alcun motivo di esistere. Alla fine, ogni suono è riconducibile ad un segnale elettrico, quindi a numeri, indipendentemente  dallo strumento, classico o elettronico, che lo ha prodotto. In questo senso la post-produzione riguarda tutti gli strumenti.
Credo che uno degli errori più gravi della riforma dei conservatori sia stata la separazione fra il corso di Composizione e quello di Musica Elettronica. Oltre ai numerosi equivoci sul piano teorico, la conseguenza più negativa è una sorta di ingiustificabile divisione, già presente nei programmi di studio, che ha reso più poveri ambedue gli ambienti didattici.

C’è un’assoluta corrispondenza tra la composizione sonora e visiva, procedono in sincrono come fossero un’unica entità. La progettazione della componente visiva avviene in un momento successivo rispetto alla musica o di pari passo? Spesso alle immagini/video di repertorio accostate materiali inediti. Si tratta di riprese realizzate da voi o create appositamente con programmi/software di grafica? Che ruolo ha la post-produzione video ai fini della narrazione audiovisiva?

Come ho già detto, la progettazione intermediale prevede un trattamento contestuale non soltanto del suono e delle immagini (siano esse girate da noi, di repertorio o di sintesi), ma anche di testi, di danza… e di quant’altro possa avere una valenza estetica. Non è utile quindi parlare di un prima e un dopo intesi come procedimenti separati. In questo senso la post-produzione ha un ruolo fondamentale, proprio perché l’ambiente di lavoro, cioè la possibilità di gestire numerose timeline sovrapposte, risponde esattamente all’impostazione non-lineare del processo creativo. 
Potrei anche aggiungere che il termine “post-produzione” è assai diminutivo e in qualche modo fuorviante. Perché sembrerebbe riferirsi ad un semplice “aggiustamento” dei vari parametri allo scopo di ottimizzare l’opera in funzione della sua fruibilità. In realtà si tratta di ben altro, e la sua importanza sul piano strettamente teorico forse non è stata ancora sufficientemente evidenziata. 
La vera rivoluzione della nostra epoca sono proprio i cosiddetti programmi di “post-produzione”. Essi vanno oltre il trattamento di suoni e immagini per mezzo dell’elettronica. Sono infatti, più propriamente, strumenti di espansione di tutte le facoltà della nostra memoria, divenuti ormai insostituibili nel controllo contestuale dei singoli dettagli e della visione globale, consentendoci di concepire e articolare più agevolmente anche forme assai complesse. Quindi chiamiamoli semplicemente strumenti di “Produzione” (senza post), anzi: di Composizione.

La sua personale ricerca estetica, musicale e audiovisiva è in costante fermento. Quali risultati ha portato fin ora? A quali conclusioni è arrivato?

Credo che Hermes Intermedia abbia avuto un ruolo importante nel realizzare opere in cui l’intermedialità sia leggibile non soltanto nella sua enunciazione teorica ma soprattutto per nella chiarezza delle sue rappresentazioni. Lo dico senza aggiungere nulla in più al normale orgoglio di chi vi ha lavorato per molti anni con passione e dedizione.
Per quanto riguarda i risultati, cito un episodio assai eloquente accaduto a Valerio Murat. Quando vinse il Premio Gaudeamus nel 2002, la sera stessa della premiazione ad Amsterdam ebbe due commissioni: una per Radio France e altra per l’Orchestra di Montpellier. Circa un mese dopo si accorsero che “Murat” nonostante il nome, non era francese ma italiano, quindi annullarono le commissioni. Ecco, a me non risulta che in Italia un giovane compositore abbia mai ricevuto offerte da parte di istituzioni pubbliche, per merito, per consentirgli di sviluppare il proprio talento.
La mia conclusione? Abbastanza amara, perché verrebbe subito da dire: “era meglio nascere in Francia o in Germania”. Ma qui il discorso si sposterebbe sulle direzioni artistiche di Enti Lirici e istituzioni Musicali, perciò sulle nomine e quindi sulla politica italiana. Lasciamo perdere.  

 I vostri lavori dimostrano che è già in atto una innovativa concezione del fare musica nel XXI secolo, anche se la letteratura in ambito musicologico sembra non avere abbastanza contribuito riguardo l’estetica dell’intermedialità. In quest’epoca post-digitale in quali direzioni evolverà il concetto di musica/performance audiovisiva? In che modo la musicologia dovrebbe accogliere questo tipo di concezione e metterla a servizio della musica? 

Molto sinceramente: non mi aspetto contributi importanti da parte dei musicologi. Non ritengo sia loro compito indicare percorsi. Con tutto il rispetto, ritengo che se si vuole parlare di Composizione sia più consigliabile parlare con i Compositori. 
Vorrei concludere dicendo che non c’è nulla di nuovo in questo percorso evolutivo parallelo tra l’Arte e le nuove tecnologie. E’ stato sempre così, fin dalla più remota antichità. Potrei citare l'organo, come risultato massimo della tecnologia antica e come strumento che ha dato luogo ad una immensa letteratura e quindi ad una intera civiltà musicale. Ma vorrei andare ancora più indietro, fino alle piramidi dei faraoni. Opere di enorme complessità, la cui progettazione e realizzazione esigeva il controllo di una eccezionale mole di dati. Esse furono realizzate grazie ad una scoperta essenziale: la scrittura. Soltanto questa consentiva la gestione di circa diecimila persone che, con varie mansioni, lavoravano contemporaneamente. Tutte le conquiste tecniche e ingegneristiche non avrebbero avuto storia senza di essa. E non a caso coloro che la praticavano, gli scribi, rappresentavano una classe sociale molto elevata. 
Allora, eccoci qua: siamo tutti scribi egiziani, con la sola differenza che abbiamo sostituito la “rubrica” (si chiamava proprio così, perché organizzata in parti contrassegnate da inchiostro rosso) con il computer. Ma, in buona sostanza, dopo circa 4500 anni viaggiamo ancora nella stessa direzione.

 Antonio Poce

  Visual Artist

 


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03013 Ferentino
Italia
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